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UNA TRATTORIA AI CONFINI DEL TEMPO E IL GIOCO DEL PALLONE ELASTICO

“Il sentiero e l’altrove”, Ediciclo, 2016, Roberta Ferraris

C’è un cartello stradale lungo la provinciale 661, davanti al quale capita di vedere le auto rallentare, fare marcia indietro per leggere meglio l’indicazione, che è per forma e colori segnaletica ufficiale della viabilità provinciale, blu con scritta bianca. Ecco, la strada campestre che si dirama dalla provinciale, di quelle larghe tre metri e asfalto che ha visto tempi migliori, porta all’Appuntamento nei Boschi. Con chi, e per fare cosa, non è dato sapere. Si dà per scontato che tutti sappiano. E tutti sanno cosa succede in quel luogo nei giorni più caldi dell’estate. Tant’è che il consiglio è di andarci in un giorno feriale qualsiasi, in una bella giornata serena di primavera.

La strada serpeggia su un crinale secondario e arriva al luogo deputato all’appuntamento, debitamente segnalato da un masso inciso, che a sua volta indica una via che si inoltra nel castagneto. Conviene seguirla fino in fondo, fino alla radura che spiega l’arcano. Una pedana per il ballo, un gazebo per l’orchestra, panche, tavoli e baracche di legno per le salsicce e costine. L’appuntamento non è riservato ai pochi abitanti di Torresina e Igliano, che condividono l’area delle feste, ma esteso a tutti gli amanti del ballo liscio e della sagra di paese, che si danno appuntamento in uno dei rari castagneti da frutto superstiti della Langa.

Fatto ancora più notevole, dal bosco dell’appuntamento si dipartano cinque anelli escursionistici, di varia lunghezza, assai gradevoli e azzeccati anche dal punto di vista dei contenuti (antiche cascine, rarità botaniche, pozzi scavati nella roccia, muri a secco). Idea geniale, la manutenzione viene ogni anno finanziata dalla vendita delle salsicce e delle costine. E viene puntualmente fatta, anche grazie al volontariato dell’associazione che ha messo in piedi l’iniziativa.

Uno dei sentieri, da percorrere in ogni stagione, ma soprattutto nell’autunno, passa nel paese di Torresina, poche case con fienili, orti, una piazza deserta e una via, su cui appare come miraggio un’insegna vecchia di almeno trent’anni. Dice: “Trattoria Mollo”. Guardi l’insegna, guardi la porta di anodizzato, buia, e pensi: chiusa da almeno venti. Invece no, bisogna osare e aprire quella porta, oltre la quale appare una scala ripida e un’altra porta, questa illuminata di una luce che promette accoglienza, presenza umana, forse anche cibo. C’è chi dice che Torresina - 53 abitanti e fa pure comune - sia un paese che sta insieme perché la trattoria fa da calamita e cemento, e che se non ci fosse andrebbe a morire di silenzio e noia. Aperta la porta illuminata, la prima attrattiva è il bancone del bar, con coppe e trofei in esposizione. Sulle pareti, storiche foto di giocatori del pallone elastico. Un gioco che si pratica, con un campionato “nazionale”, solo nelle province di Cuneo, Savona e Imperia, in appositi e moderni sferisteri, che hanno da tempo sostituito le piazze sconnesse dei paesi di Langa e Liguria limitrofa. Il pallone è di piccole dimensioni, ma pesante: 180 grammi. Il punteggio ricorda quello del tennis, ma manca la racchetta per battere. La palla si colpisce con il pugno fasciato da bende e protezioni in cuoio. Si gioca quattro contro quattro: un battitore, una spalla e due terzini. Le regole sono tanto misteriose che non basta stare a guardare qualche partita. Bisogna dedicare tempo, e avere qualcuno che, gioco dopo gioco, spieghi i movimenti, riveli gli arcani, le astuzie. Per diventare giocatori, poi, il cammino è lungo e non è per tutti: bisogna essere – dicono gli esperti - né troppo bassi, né troppo alti, né troppo magri, né troppo pesanti. Ma soprattutto serve intelligenza, grazia, gesto atletico ed elegante. Tanto elegante che in tempi passati – quando alle partite assisteva Beppe Fenoglio - il giocatore di pallone vestiva pantalone lungo e camicia bianca.

Per saperne di più sul gioco del pallone basta far pranzo in trattoria in un giorno feriale, e interrogare Mollo Cesare, quarto rappresentante, in ordine di tempo, di sei generazioni di osti e ostesse, che, con l’ausilio di familiari di ogni grado ed età – vera macchina da guerra - gestiscono questa trattoria di campagna dal 1870, quando fu felicemente avviata da Mollo Giorgio, con un menù semplice: pane, vino, salame e acciughe. La quinta generazione è ben rappresentata da Mollo Bruno, i cui ricordi riportano agli anni ’60, quando i tavoli del bar erano sempre occupati dagli uomini del paese, tutti con il cappello e i baffi, e l’attività prevalente era il gioco delle carte. Non li fermava nemmeno la neve, quando mancava la corrente e si giocava a lume di candela: l’odore della cera fusa misto al fumo di sigaro fa parte di quegli aromi perduti e irripetibili, che mai più torneranno.

Tratto da “Il sentiero e l’altrove”, Ediciclo, 2016, Roberta Ferraris

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